Quante volte capita di sentire che il vino bianco va bevuto giovane… ecco uno dei tanti miti da sfatare! Certo quando si pensa a un vino da invecchiamento si immagina subito un grande rosso. Questo perché contengono degli antiossidanti, come i tannini, che li rendono adatti a essere conservati più a lungo, mentre in linea generale si tende a pensare che i vini bianchi non abbiano queste proprietà. In realtà esistono moltissime eccezioni, e alcune varietà di vini bianchi possono resistere anche oltre i dieci anni regalando bevute indimenticabili.
Vero è che non sono moltissimi i bianchi capaci di durare nel tempo, ma quando hanno la forza e l’equilibrio necessari, danno luogo a degustazioni sorprendenti: col passare del tempo, infatti, evolvono diventando complessi, strutturati ed eleganti, fino ad emozionare!
Molto dipende dalla struttura del vino: per affrontare la sfida dell’invecchiamento, un bianco può contare sulla concentrazione del frutto, la sapidità e soprattutto l’acidità, in grado di bloccare le aggressioni del tempo. C’è quindi bisogno di una serie di fattori indispensabili e di una progettualità ben precisa che parta a monte.
Determinanti sono le uve utilizzate: il vitigno scelto è infatti fondamentale, poiché ci sono alcuni vitigni che sono sicuramente più adatti a poter affrontare i segni del tempo e che anzi ne giovano, esaltandosi, arricchendosi e affinandosi.
Tra i vitigni più noti e adatti all’invecchiamento troviamo quelli internazionali, tant’è che in primis in Francia e Germania, bianchi capaci di sfidare il tempo sono prodotti e apprezzati da sempre.
Tra i più longevi del mondo è considerato il Riesling che sa invecchiare con eleganza. Il suo equilibrio può rimanere intatto a lungo, grazie alla capacità di fondere acidità e zuccheri residui in armonia. Maestri nel dimostrarlo sono i produttori tedeschi della Mosella.
Rinomatissimo lo Chardonnay, che sa invecchiare con grazia, soprattutto se vinificato ed elevato in botte, arricchito con le fecce e con gli aromi del legno. Iconici i Borgogna bianchi, Grand Cru e Premier Cru, ottenuti da questo vitigno, che possono durare tranquillamente oltre 10 anni. Ma anche in Italia e altrove abbiamo degli ottimi esempi.
Tra gli internazionali ci sono anche il Sauvignon Blanc, con a capo fila il Sancerre e Pouilly Fumé e può dare vita a grandi vini che possono arrivare a 10 anni e superarli.
Ma ora vediamo alcuni, tra i vitigni autoctoni italiani, che regalano maggiori soddisfazioni quando il tempo trascorso in bottiglia fa evolvere in maniera positiva le loro caratteristiche organolettiche.
Partiamo dal Verdicchio, che già da anni nelle zone marchigiane dei Castelli di Jesi e Matelica ha saputo trasmettere il suo potenziale d’invecchiamento, ottenuto grazie ad un più elevato tenore di acido malico, spesso mai convertito in lattico. Così come il suo parente stretto, il Trebbiano che in Abruzzo ha raggiunto in alcuni casi risultati notevoli. Meravigliosi anche i vini bianchi dell’Etna, i cui vitigni crescono in un territorio vulcanico a grandi altitudini, che contribuisce all’ottimo risultato. A distinguersi anche l’Alto Adige, specialmente con il Gewürztraminer, il Friuli con i suoi vini del Collio e del COF o la Campania, in primis con il Fiano di Avellino, meglio ancora se della zona di Lapio. Troviamo poi ottimi bianchi longevi in Piemonte, con ad esempio il Timorasso. Sempre più orientati a sfidare il tempo anche il Vermentino, la Garganega in Soave e la Turbiana del Lugana.
Ma ce ne possono essere anche tanti altri, perché non è solo il vitigno a giocare un ruolo determinante.
Fondamentale sotto tanti punti di vista anche il ruolo del terroir i cui il vino viene prodotto. Come sappiamo il terreno, la mineralità del suolo, l’altitudine, la pendenza, l’esposizione, la temperatura e l’escursione termica sono tutti fattori che influenzano in maniera decisiva la salubrità della pianta e la qualità dei suoi frutti. Così come l’età della vigna, poiché le piante anziane donano un frutto più complesso e spesso più adatto all’invecchiamento.
Altrettanto strategico è il metodo di coltivazione delle uve: In vigna bisogna avere delle rese più basse per migliorare la concentrazione nell’acino, ma non solo, è necessario anche scegliere il giusto momento della vendemmia, poiché le uve devono raggiungere il pieno della loro maturazione aromatica, con il giusto equilibrio tra acidi e zuccheri.
Serve inoltre una lavorazione in cantina adatta, come la tecnica di fermentazione e l’affinamento che contribuiscono alla stabilità del vino, oltre che aumentarne la struttura. Molti grandi vini bianchi da invecchiamento ad esempio hanno adottato un metodo di vinificazione originario della Borgogna: I succhi d’uva ricavati dalla pressa sono messi a fermentare in botti di piccole dimensioni, e dal legno recupereranno anche dei tannini complici dell’azione antiossidante. Dopo la fermentazione alcolica, il vino resta sulle fecce, senza essere travasato e periodicamente, le fecce sono rimesse in sospensione mediante un’operazione chiamata “bâtonnage”. Con questo metodo si ottengono vini bianchi più complessi, con note boisé assai più diluite di quanto avvenga con la maturazione in legno preceduta dalla fermentazione in acciaio.
Ma non è il legno l’unico contenitore a consentire la longevità del vino, anzi, ci sono sperimentazioni vincenti anche su tipi di contenitori. L’importante è avere i giusti ingredienti.
Purtroppo questo invecchiamento ideale dei vini bianchi è lungi dall’essere la norma. E cerchiamo di capire come distinguere il suo stato di conservazione ed evoluzione tramite l’analisi visiva e organolettica. Partendo dalla vista, evolvendosi il vino andrà verso un incupimento del colore. Ma tanto è normale che negli anni il colore viri da un giallo paglierino verso un giallo oro anche molto intenso o a riflessi ramati, quanto è segno di ossidazione se raggiunge tonalità troppo brune che ricordano il “Brodo di Castagne”, espressione utilizzata proprio per indicare il colore di un vino ormai troppo evoluto. Il colore può quindi già avvisarvi se il vino datato ha buone possibilità di aver retto o se invece rischia di essere compromesso.
Al naso invece alcuni vitigni, come il Riesling, il Gewürztraminer e il Sauvignon Blanc, hanno sostanze aromatiche olfattive che rimangono stabili nel tempo, mentre, altri vitigni, come la maggior parte degli autoctoni italiani, si evolvono in maniera più ampia. L’ “invecchiamento ossidativo” è fortemente banalizzante : cancella il terroir con tanta determinazione mentre il bouquet derivante dall’ “invecchiamento riducente” lo esalta.
In generale nella loro evoluzione i vini bianchi vanno ad abbandonare il carattere prettamente varietale dell’uva, tipico dei vini giovani, per virare verso sentori più maturi. Ed è così che il floreale diventa più un pot pourri, la frutta fresca passa a frutta matura o secca, spuntano le note vegetali tendenti al muschio, al sottobosco, agli infusi, al tabacco, all’idrocarburo e si accentuano e arricchiscono i sentori speziati. Quando però questa evoluzione in bottiglia si avvicina all’ossidazione, ecco che al naso troviamo sempre più odori che ricordano il miele, la cera d’api e la resina di pino fino ad arrivare a odori di rancio o di vernice quando la sua vita è finita.
Al palato invece, gli anni di bottiglia possono regalare l’equilibrio tra freschezza e morbidezza. L’acidità di solito ben evidente in gioventù va ad attenuarsi, anche se è necessario che resti ben presente per sostenere l’evoluzione del vino e la complessità e rotondità che via via si va formando. Se invece il vino non è atto a invecchiare o non ha avuto le condizioni giuste necessarie, ecco che lo troveremo in bocca come spogliato, privo di vitalità e concentrazione e può tendere all’amaro.
Non è quindi scontato che un vino bianco possa reggere il tempo, è però un grande peccato pensare il contrario e non concedergli il tempo di sviluppare i meravigliosi sentori positivi che solo il tempo può regalarci nel bicchiere.
È necessario però che la conservazione del vino avvenga con tutti i criteri necessari per evitare che la bottiglia possa essere danneggiata, in primis dalla luce, dagli sbalzi di temperatura, così come dal troppo calore o dal troppo freddo, e dai troppi scombussolamenti.
E ora sarei proprio curiosa di sapere qual è il vino bianco più longevo che avete mai bevuto.
Chiara Giannotti
Wine&Spirit Expert